domenica 28 agosto 2016

Perché la varietà fa bene al gioco

Buongiorno a tutti e ben trovati!

Questo articolo inaugura la rubrica Consigli di buon gioco: una raccolta di miei opinioni su come creare un buon clima fra compagni di gioco, così da divertirsi assieme nel miglior modo possibile.

In questo primo articolo vi spiegherò perché, secondo me, è molto importante provare tanti giochi diversi e perché è utopico sperare che esista un gioco perfetto in grado di soddisfare tutti i palati.

Per iniziare, vi racconterò un aneddoto su di me, e ciò che imparai in quell'occasione.

Dungeon World e Io: storia di una cotta giovanile

Nel lontano autunno 2013, il vostro blogger Ivan era un ragazzino foruncoloso che stava iniziando la quinta superiore. Non sapevo praticamente nulla di GdR: l'anno precedente avevo provato a giocare a Dungeons&Dragons 3 e mi ero annoiato a morte. Ecco però che nel Settembre 2013 sento parlare di un gioco chiamato Dungeon World (DW in breve), un gioco fantasy in cui 3-4 giocatori interpretano ciascuno un prode avventuriero membro di una compagnia, e assieme raccontano la storia della lotta dei loro eroi contro una qualche potenza maligna controllata dal Game Master. 
A suo tempo DW mi viene descritto (in modo alquanto di parte) come "Dungeons&Dragons senza le regole matematiche complicate e con al loro posto meccanismi che aiutano a inventare la storia"; ovviamente mi incuriosisco, provo a giocarci con i miei amici di allora, e ci divertiamo molto: è un attimo e ci ritroviamo a comprare in massa il manuale di DW e a ritrovarci ogni sabato o quasi per giocarci. 

Ora, io allora ero letteralmente innamorato di DW: mi pareva un gioco dalle possibilità infinite, in cui la gran quantità di regole dedicate permetteva di creare personaggi principali sempre nuovi e diversi, e in cui le regole per gestire gli antagonisti e le trame a lungo termine rendevano facilissimo e appagante il compito del Game Master. Certo, provai molto spesso a riscrivere i libretti di personaggio che a me non piacevano, e altrettanto spesso ammattii per capire cosa sbagliassi come GM, ma questo non cambiava la mia opinione: adoravo di DW perché mi sembrava il gioco perfetto per le mie esigenze e non sentivo il bisogno di provare niente altro. Ma avrei cambiato idea...
Il mio primo personaggio di Dungeon World.
Sì, ero in una fase di ossessione per gli intellettuali malvagi altezzosi e manipolatori.

Di come scoprii Fate

Nello specifico cambiai idea il 31 ottobre 2014, mentre ero alla fiera di Lucca di quell'anno. Nel periodo precedente avevo iniziato a bazzicare gruppi Facebook sui GdR, e avevo letto per caso un certo articolo di un tal Luca Maiorani su un gioco che sarebbe uscito a Lucca: Fate, un regolamento pensato per inventare storie di avventura in qualunque tipo di ambientazione venisse in mente ai giocatori - western, space opera, sword & sorcery, wuxia, e così via.

Quel giorno alla fiera trascinai tre miei amici al padiglione in cui l'editore italiano di Fate teneva partite dimostrative, ne feci una (e il GM era Maiorani stesso!) e mi divertii come mai prima di allora. Uscii dal padiglione portando con me la mia copia nuova di zecca del manuale di Fate, e nelle settimane successive me la lessi per bene fra una lezione e l'altra in università. In breve mi accorsi con un certo shock (mio ma anche dei miei amici) che Fate mi piaceva già molto molto di più di DW. E questo  perché, mettendo a confronto certe regole analoghe dei due sistemi, mi divertivano di più le soluzioni di Fate. Vediamo qualche esempio:
  • I personaggi di DW si creano prendendo un archetipo, già dato dal manuale, e personalizzandolo con una scelta di opzioni: ad esempio il Guerriero possiede un'arma personale, che va definita, e il Mago conosce un certo numero di incantesimi, scelti da una lista. In Fate, invece, i protagonisti si creano da zero scrivendo cinque frasi descrittive che li connotano (come Cacciatore di taglie interplanetario) ed elencando le capacità pratiche in cui sono versati (come Pilotare o Informatica) o i loro modi di fare caratteristici (come Attento o Energico). La procedura di Fate è certamente più faticosa, ma io adoro quanto è versatile.
  •  Sia in Fate sia in DW esistono regole per gestire i combattimenti, fra cui un misuratore della salute fisica dei combattenti: in DW questo valore ci dice solo quanto manca prima che il personaggio muoia, in Fate codifica anche (e soprattutto) quali ferite ha incassato e quanto sono gravi. Personalmente preferisco la logica di Fate, in quanto rende avvincenti i singoli scampi di colpi (anziché incentivare il "lo colpisco finché non crolla") e può funzionare tanto per gli scontri fisici quanto per quelli verbali e psicologici.
  • In entrambi i giochi un giocatore ha il ruolo di Game Master: deve recitare il ruolo degli antagonisti e dei comprimari, così da presentare ai protagonisti delle situazioni di conflitto interessanti e avvincenti. In Dungeon World, però, il GM deve dettagliare un piano d'azione a medio-lungo termine per ogni antagonista, metterlo in moto, e lasciare che i giocatori facciano reagire i loro personaggi; in Fate, invece, il GM deve focalizzarsi su situazioni a breve termine, tenute sì assieme da un filo rosso ma di per sé autosufficienti. Io personalmente mi trovo meglio con il sistema di Fate, perché mi permette di lavorare poco a poco.
Il mio primo personaggio di Fate, creato per la demo a Lucca 2014.
Ad avere il tempo per una partita ad hoc, lo riprenderei in mano volentieri.

Ogni gioco è un'avventura a sé

Ebbene, quel semplice confronto mi ha fatto capire che ogni gioco di ruolo, in quanto opera di intrattenimento, adotta soluzioni diverse per intrattenere il suo utente, al pari di un romanzo o di un film. Certo, il romanzo e il film sono media a fruizione "passiva", in cui ci viene offerta una storia di cui godere come pubblico, mentre il gioco di ruolo è un medium "attivo" in cui ci si diverte a essere autori e pubblico di una nostra storia, ma il principio non è così diverso: a fare la differenza fra due romanzi è il modo in cui l'autore ha raccontato la storia, e così fra due giochi di ruolo conta il modo in cui il gioco divide fra i giocatori il potere di aggiungere informazioni alla storia.
Per capirci, pensiamo ad Agatha Christie e ad Arthur Conan Doyle, e a quanto sono diversi i rispettivi gialli: in Dieci Piccoli Indiani Christie mette davanti al lettore tutti i dati necessari a indovinare l'assassino, in Uno studio in rosso Conan Doyle tiene segreta un'informazione fondamentale e la rivela solo nel momento clou. Sono entrambe vicende di suspense e mistero, ma questa grossa differenza nello svolgimento del racconto condiziona fortemente la reazione emotiva del lettore: chi legge la Christie sarà portato a fare supposizioni su chi sia il colpevole, chi legge Doyle aspetterà con ansia l'intervento risolutivo di Sherlock Holmes. Ora spostiamoci nell'ottica del gioco di ruolo, l'ottica dell'autore-pubblico: se vi interessa giocare a inventare una storia di avventura, vi preme che i protagonisti siano archetipici, o preferireste crearli fuori dagli schemi? Volete poter zoomare su tutti i tipi di conflitto fra due personaggi, che siano combattimenti o diverbi, o vi basta farlo sui combattimenti? E rispetto agli antagonisti, volete gestirli come un lungo arco narrativo ininterrotto o come una serie di episodi collegati da una trama orizzontale? In base alle vostre preferenze vi troverete meglio ora con Dungeon World, ora con Fate.

E considerate che sinora vi ho preso ad esempio due giochi per storie di genere simile; pensate a quanto divario ci può essere fra loro e Mille e Una Notte - un gioco ambientato in un palazzo reale arabo, in cui ogni giocatore interpreta un cortigiano e deve farsi strada negli intrighi di corte, a suon di... fiabe e novelle raccontate agli altri cortigiani, nelle quali potrà criticare i propri rivali ed elogiare i propri alleati. In questo gioco non c'è un GM, poiché tutti i personaggi sono nemici (o alleati) gli uni degli altri, i protagonisti sono definiti dal loro aspetto fisico e dalle loro ambizioni personali (niente capacità speciali o simili), e non ci sono regole per gestire duelli e combattimenti: tutto si basa sul raccontare a braccio una storia agli altri cortigiani, e in base a quanto questa viene gradita o sgradita il proprio personaggio potrà crescere di rango, o abbandonare il palazzo... o finire decapitato dal Sultano. Tutto un altro mondo, non trovate?
Il personaggio della mia prima partita a Mille e Una Notte.
Scoprimmo che era un uomo simpatico e un po' pomposo in pesante crisi di mezza età.

Il mito del "Con questo ci fai tutto"

Quanto vi ho detto sinora, però, spesso viene contestato: più volte ho sentito dire che il gioco Tal dei Tali piacerà sicuramente a chiunque, perché "Ci si può fare tutto" e di conseguenza può garantire a ogni giocatore esattamente il tipo di intrattenimento che desidera, il tutto senza cambiare di una virgola il sistema di regole. Beh, mi dispiace dirlo in modo così secco, ma temo di avere scoperto l'acqua calda: questo mito del sistema "generico" è, appunto, solo un mito, e anche un mito facile da sfatare.

Come abbiamo visto, giocare a creare una storia è come fruirne una d'autore: il modo in cui noi raccontiamo la storia, o in cui la storia ci è raccontata, condiziona il tipo di sensazioni positive che proviamo. Ora, dal confronto fra Fate e Mille e Una Notte, possiamo capire anche questo: se un gioco vuole produrre un determinato tipo di storia, deve aiutare i giocatori a creare quel tipo di struttura di trama e a esplorare quel tipo di tematiche, così da dare loro lo stesso tipo di riscontro emotivo: un gioco ispirato a Star Trek, per esempio, dovrebbe richiederci di scegliere un problema sociale del nostro tempo, proiettarlo nel XXIII secolo e farlo affrontare ai nostri protagonisti (quante volte Kirk e ciurma hanno abbattuto la dittatura di un computer senziente?); invece un gioco ispirato a Desperate Housewives dovrebbe farci creare una rete sociale intricata di relazioni familiari e amicali, farci mettere sotto pressione i diversi rapporti umani, e farci decidere se ciascun personaggio riesce a salvare i propri affetti o finisce per tagliare i ponti (per poi, nel caso, ricomporli, come Bree van der Kamp con i suoi figli).
Tuttavia dobbiamo considerare che, proprio come si può giocare a raccontare una storia con la struttura e i temi del dato libro/film/serial TV, così si può benissimo giocare a raccontare una storia con l'estetica del dato/libro/film/serial TV, ma con una struttura di trama diversa: nulla ci impedisce di prendere Mille e Una Notte, mantenerne identico il regolamento, e trasferirlo nel mondo immaginario di Star Trek, con gli ufficiali di plancia dell'Enterprise che si raccontano aneddoti: non staremo giocando una puntata tipica di Star Trek, che parlerebbe di esplorazione avventurosa e critica sociale, ma di certo staremo giocando una storia di racconti a incastro ambientata sull'Enterprise, e potrebbe essere lo stesso divertentissimo!
Uhura: "Suvvia signor Spock, ci racconti di quando quasi ammazzò il capitano Kirk in quel duello rituale!"
Spock fra sé: "Cos'ho fatto di male per meritare questo!?"
Ebbene, il mito del gioco generico si basa proprio sulla distinzione mancata fra questi due modi di giocare: spesso, infatti, si definisce "generico" qualunque gioco permetta ai giocatori di decidere liberamente l'estetica del mondo immaginario, secondo la convinzione che l'estetica da sola faccia il tipo di storia - ma le regole del gioco restano sempre identiche, e con loro la struttura di trama e i temi di fondo che si potranno elaborare in quel gioco.
Un esempio madornale di questo errore è considerare "generico" Fate (e credetemi, lo si fa spesso): nel manuale di Fate, infatti, si dice apertamente che si tratta di un gioco per creare racconti di avventura, in cui personaggi competenti in ciò che sanno fare affrontano in modo proattivo dei problemi che li toccano personalmente; ne consegue che con Fate possiamo giocare storie alla Star Wars, alla Harry Potter, alla Avatar, che rientrano perfettamente nel genere in esame... Ma voglio proprio vedere come si possa usarlo per una storia simile a La confraternita dell'uva, un romanzo in cui si parla del rapporto fra genitori e figli e fra immigrati di prima e seconda generazione, attraverso un incastro di flashback e scene in tempo reale. Lì i personaggi non sono connotati principalmente dalle loro competenze, non ci sono problemi esterni da risolvere, e non c'è adrenalina né senso del meraviglioso - bensì tanta, tanta introspezione psicologica e tanta descrizione di un preciso contesto socio-storico.

Giocate, giocate, giocate...

Ora, perché ho passato tutto questo tempo a spiegarvi che tanti giochi diversi, secondo me, sono preferibili a un solo gioco apparentemente versatile? Beh, semplice: come in tutte le cose, anche nel gioco di ruolo ogni persona ha i suoi gusti. Ad alcune persone piace inventare storie ricreative, altri le preferiscono forti e drammatiche; c'è chi adora emulare il suo genere narrativo preferito, riproducendone i tropi, e c'è chi invece cerca nella finzione spunti di riflessione sul mondo reale; a certe persone piacciono i giochi con bipartizione fra giocatori e Game Master, altre preferiscono una delle tantissime soluzioni alternative. Quali che siano i vostri gusti, il panorama di giochi fra cui scegliere è gigantesco: non limitatevi giocando un solo titolo, sperimentate cose nuove come se non ci fosse un domani. Io il salto l'ho fatto a Lucca '14, e posso assicurarvi che ne è valsa la pena!


2 commenti:

  1. Bravo, Ivan! Bell’articolo e scritto con passione. ;-)

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  2. Fa venir voglia di giocare tante cose ;-)
    Ma è per via della passione che trasmette, molto pura!

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